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Lara Croft, l'eroina armata fino ai denti e Super
Mario, il pupazzetto digitale dalle mille avventure
video, vanno al museo. Ce li porta insieme alla
famigliola dei Pokemon - direttamente su quadro - Milton
Manetas, artista greco adottato dall'Italia che da tempo
scorrazza tra i cartoni animati e personaggi che
camminano grazie a un joystick. L'occasione per questa
"incursione" è una mostra che segue il filo del lungo
flirt fra arte e comics. Si chiama "In fumo - arte,
fumetto, comunicazione" (a cura di Giacinto Di
Pietrantonio) e sarà allestita presso la Galleria d'arte
moderna e contemporanea di Bergamo dal 26 settembre al 6
gennaio 2002.
Milton Manetas considera l'arte
contemporanea un serial a puntate, un fotoromanzo kitsch
ed è convinto che sia un videogioco infinito. Così ruba
frames al computer o alla tv per poi riproporli nelle
gallerie internazionali. I Manga e le bamboline Sailor
Moon sono meglio della Gioconda, hanno più sex appeal. E
non è il solo a viaggiare sull'onda dei comics. Takashi
Murakami, figlio del Sol Levante, star della nuova scena
giapponese, ingigantisce in grandi sculture gonfiabili
gli eroi dei fumetti e popola l'immaginario di
mostriciattoli a uso e consumo di un'infanzia piuttosto
disturbata e ossessionata.
La commistione fra
arte e cartoon non è certo una novità. Lo sfortunato
Paperino era già entrato nei musei negli anni Sessanta e
aveva vissuto il suo riscatto a suon di aste miliardarie
con le opere di Roy Lichtenstein. La pop art, intanto,
si adoperava alacremente per trasformare il panorama
urbano delle città americane in un enorme parco a tema.
Se da una parte una metropoli fantasy come Gotham City,
patria di Batman, ha i contorni dark e futuribili del
pensiero modernista e la casa dei Simpson è zeppa di
oggetti di design contemporaneo, dall'altra parte il
papà della pop, Lichtenstein, può affermare che la sua
architettura è quella di McDonald's. E mentre a
illustratori visionari come Moebius o dal segno
inconfondibile come Andrea Pazienza vengono consacrate
rassegne e retrospettive, una folta schiera di artisti
sceglie come icone da culto gli eroi dei bambini. Ma il
linguaggio delle strips - veloce, sintetico ed
emozionante - non sempre viene utilizzato per
addomesticare una visione della realtà. Spesso anzi,
nell'uso estrapolato che ne fanno gli artisti, la
grafica scarna, i colori piatti ed esagerati, le frasi
slogan finiscono per colpire al cuore l'industria
dell'intrattenimento. L'arte diventa un remake acido
dell'immaginario edulcorato di Disney & company.
Pupazzetti in technicolor sono graffitati sui muri di
New York da Keith Haring per allarmare il mondo con i
suoi omini radioattivi. Oppure vengono inglobati nei
film d'animazione del sudafricano William Kentridge per
denunciare le condizioni di vita pre e post apartheid.
Anche Chéri Samba (zairese) piega il disegno naif dei
fumetti a intenti sociologici, un po' come facevano gli
affreschi medievali che raccontavano le vite dei santi
in figure per il popolo analfabeta. La sua "cronaca"
parla però di una moderna peste, l'Aids.
Il
thailandese Navin Rawanchaikul, emergente nelle Biennali
di Sydney, Lione e Berlino, sfrutta la cartellonistica
orientale per le sue installazioni. Capace di fare
mostre in taxi (trasformato in galleria mobile) ha messo
su una vera e propria azienda, con tanto di maestranze
artigianali cui affida le sue produzioni di fumetti,
dipinti e sculture. Street-style e controcultura
giovanile sono invece gli ingredienti dei video
dell'inglese Georgina Starr. In "Tuberama" (film-musical
presente in mostra) assistiamo a una sorta di
mini-psicodramma: eccentrici cartoon rappresentano
l'artista stessa e alcuni passeggeri che durante un
viaggio nei vagoni della metropolitana incontrano i loro
cloni. Paul McCarthy, bad boy che vive e lavora a Los
Angeles usa fiabe e personaggi leggendari per allestire
il suo teatro del grottesco. Questa volta l'attore è
Pinocchio, in versione al vetriolo: un bambino davvero
molto maleducato. Hanno perso la loro innocenza anche i
bambini che s'incontrano al parco dell'italiano Diego
Perrone, piemontese, classe 1970. Ridotti a fantasmi di
cartoon, si azzuffano, mordono e si aggrediscono tra
loro come animali impazziti. Artista tecnologico, che
ama la animazione al computer e le immagini digitali,
Perrone preferisce le storie alla "South Park", dove i
piccoli sono brutti, sporchi e cattivi. Più soft Luigi
Ontani che nel suo camaleontismo esasperato (interpreta
come un tableau vivant le icone della mitologia
occidentale e orientale) arriva pure a vestire i panni
del Signor Bonaventura, il distratto protagonista delle
storie inventate da Sergio Tofano (in arte Sto) a
partire dal 1917 per il "Corriere dei
Piccoli".
Tra i maestri del genere citazione si
trovano in mostra anche Lari Pitmann, californiano che
iperstimola la sua tela con tante micronarrazioni a
strisce e Raymond Pettibon, presente sulla scena fin
dagli anni '70, cantore dei surfisti così come degli
idoli cultura rock underground americana (sue le
copertine dei Black Flag e Sonic Youth). D'altro canto,
il segno del fumetto come stile metropolitano,
espansione dell'universo estetico dell'arte è il
programma assunto da Andy Warhol con la sua Factory.
L'arte da supermarket ha nel suo potenziale un'audience
sterminata. E Dick Tracey, per una generazione che si
prepara a crescere ingozzata di tv, videoclip e
playstation, in pieno boom economico e pronta a sognare,
è naturalmente più celebre della Venere di Milo.
27.09.2001 |