"Just
in time" Nota
sulla puntualità
by
Stefano Chiodi
Solo poche
osservazioni su pratiche eccedenti, o superate, e su fini scomparsi.
Oggi.
E sui vantaggi
dell’esperienza. Sulla difesa e sull’attacco. Un periplo tra residui
e mascheramenti. E sullo sfondo l’«arte» e gli «artisti», per quel
che ne possiamo capire.
Dove è
in effetti questione del «non più» e non tanto del «qui adesso».
Cronache di una funzione residuale, ad ogni modo, benché contagiosa.
Felicemente spossessata dei suoi domini. E sempre opacamente seducente,
disponibile, in fondo generosa.
Storie
di fondamentale puntualità, di efficienza, di successo, o al contrario,
più spesso, di dépense, di fallimento, di sparizione.
All’inizio,
la lamentevole realtà del tempo morto, dell’attesa improduttiva;
un tempo inerte, un vuoto inutile. E dunque i necessari rimedi:
se all’operaio si prendeva il tempo, si misurava l’intervallo, al
passante si proponevano orologi, quadranti, incombenti, o molli,
come in certe immagini surrealiste, sfere smisurate, monumentali,
sincronizzate tutte, sempre, spietatamente, sull’imperativo dell’esattezza.
O cartellini,
schede perforate, da sottoporre alla bocca vorace dell’horodateur,
forma più raffinata ma sempre incombente di quelle maschere che
a metterci la mano dentro, in antico, si rischiava di vedersela
mozzata.
Perché
dovremmo sfuggire o sottrarci? L’imperativo della puntualità ha
formato il nostro cosmo e dato forma ai nostri giorni. Ci ha regolati
dentro, ci ha fornito un’etica immediata, empirica, di facile applicazione,
esportabile.
E ha anche
ridisegnato paesaggi più impervi, meno affollati, o più ardui, in
qualche caso. L’obbligazione oraria rivela una metafisica implicita,
un’assiologia.
Ciò che
è all’ora è anche di per sé, indipendentemente dal resto, anche
buono, e vero. Ovvero ciò che arriva al suo momento, che non potrebbe
altro che essere proprio quello, e non un altro qualsiasi, se si
vuole riunire, appunto, l’efficienza col minimo sforzo. Insomma
dietro al tempo spunta il numero, l’indispensabile calcolo economico.
E sappiamo
quanto resistenti, invincibili siano le convenzioni giustamente
basate sull’utile. Ora tutto questo ha da fare così immediatamente
con la nostra vita più immediata e banale (arriviamo tardi e l’amore,
il lavoro, il futuro, svaniscono come miraggi, oppure altri arrivano
in ritardo, e noi siamo derubati, o andiamo al creatore) che è sorprendente
pensare fino a che punto nel mondo che ci circonda la puntualità
sia divenuta la sola, vera stella polare.
A proposito,
dovremmo distinguere tra coincidenza e puntualità, simili a volte
negli effetti, nel bene e nel male, ma radicalmente difformi sotto
gli altri punti di vista. Diciamo che puntuale è sempre atto volontario,
o meglio, l’atto volontario di una volontà compulsiva: devo essere
lì alla tale ora.
E dunque
on time, sempre. Credo possiamo parlare di qualcosa di più di una
regola sociale, condivisa o meno, insomma di quelle norme che regolano
il traffico tra gli umani e di cui ci si sforza spesso senza molta
fortuna di ritrovare una motivazione razionale (non mangiare maiale,
tatuarsi, coprirsi la testa ecc.); siamo qui in presenza di una
struttura vera e propria, di un’idea regolatrice più che di un uso.
Cioè di
un orizzonte entro cui si iscrivono classi di fenomeni disparati
eppure segretamente legati tra loro. Qualche esempio? Prendiamo
il caso forse più facile, ma anche più diffuso: la televisione nella
sua versione live. Resa possibile da poco più di tre decenni, la
trasmissione dal vivo si incolla all’evento che descrive, anzi diviene
una cosa sola con esso.
La distanza
originariamente mitica tra l’evento e il racconto si riduce sino
a sparire, e l’antica ambizione dell’occhio onnisciente ed ubiquo
si realizza nella forma di un’adesione immediata alla realtà così
come essa si fa sotto gli occhi di tutti, pur restando evidentemente
il messaggio una narrazione tendenziosa e incompleta come ogni altro.
In questa
dimensione gli eventi sono sempre posti sull’orizzonte della massima
coerenza temporale. Last minute.
Breaking
news. L’obsolescenza fulminea è garanzia del rinnovarsi perpetuo
del flusso, in ultimo della sua immortalità.
Ma gli
effetti di questo modo della cultura non si esauriscono certo a
questo come ai mille altri esempi che si potrebbero agevolmente
trovare nel mondo contemporaneo.
Esistono
in effetti altre dimensioni in cui l’ontologia della puntualità
esercita un ascendente diretto ancorché silente, decisivo ma non
esplicito. Parlando di un campo con cui ho maggior dimestichezza,
ad esempio l’idea corrente di giusto momento per un artista, per
la sua opera, definito nei termini di una piena corrispondenza con
le aspettative del mercato e dell’epoca, ovvero la spietata, definitiva,
radicale ripulsa di quelli che non ce l’hanno fatta, perché, appunto,
in ritardo (o, più raramente, in anticipo).
Su tutto,
ancora, lo schema dell’adeguatezza come quantità che può essere
provata empiricamente; ridotta cioè a quella dimensione fondamentalmente
economica che è poi il vero piano emergente su cui la mistica della
puntualità si erige.
Rovesciando,
anche se inconsapevolmente, l’immagine ancora romantica dell’artista
come esiliato, sradicato profeta che proprio per il fatto di non
appartenere compiutamente al suo tempo, e in definitiva a nessun
tempo, può trasferirsi nella dimensione più elevata dell’arte, il
dogma del tempo giusto non agisce soltanto come parametro di valore,
ma come asse della possibilità, come condizione per cui tutte le
altre condizioni possono dirsi vere. E sulla base non di un discorso
esplicito, ma di un efficacissimo meccanismo capace di far evaporare
rapidamente i residui di ogni metafisica concorrente. Una sola parola
d’ordine, dunque: efficienza.
E sarà
certamente, lo sappiamo, in questa dimensione dell’immediatezza,
del point-and-click, della scelta immediata, del gesto semplice
e risolutivo che si giocherà simbolicamente la partita dell’immaginario
del nostro tempo. Prepariamoci per tempo. |